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Le più antiche notizie su «O Confeugo» a Genova sono fatte risalire ai primi anni del secolo XIV, ma è praticamente certo, anche se non provato scientificamente, che l'uso era più antico; l'omaggio, dapprima offerto al Podestà, capo supremo del Comune, passò ai Capitani del Popolo ed infine al Doge, dal 1339 in poi.
La cerimonia de «O Confeugo» era il saluto di Capo d'Anno: l'omaggio del popolo alle più alte cariche dello Stato e lo scambio di voti augurali per il nuovo anno, che nel medio evo iniziava col 25 dicembre, Natività di Gesù Cristo. Il principale dono de «O Confeugo» consisteva in un grosso tronco di alloro, coperto di rami e adornato di nastri bianchi e rossi. Il privilegio della consegna de «O Confeugo» era riservato, forse fin dal 1307, agli Abati del Popolo, rappresentanti delle Podesterie del Bisagno, del Polcevera e di Voltri, ma ben presto limitato al solo Abate del Bisagno.
La cerimonia fu abolita nel 1499, durante la dominazione del re Luigi XII di Francia, per essere ripristinata nel 1530 e quindi nuovamente soppressa dal Senato della Repubblica di Genova con decreto in data 30 dicembre 1637 «perché arreca una grave spesa agli uomini di questa valle, né si effettua senza confusione»; l'Abate però continuò ad andare a Palazzo fino all'anno 1796. L'ultimo «confeugo» fu fatto dall'Abate Antonio Bazzorao della Parrocchia di San Martino di Struppa il 24 dicembre 1796. La cerimonia fu definitivamente soppressa dalla rivolta giacobina del 22 maggio 1797.
Ogni anno, nella mattina della vigilia del Santo Natale, l'Abate vestito con toga, collare e berretto senatorio si recava in Bisagno in località denominata allora «delle Albere» (la via delle Albere era quel tratto che da Porta Romana andava al Borgo Incrociati) ove stavano conficcate nel terreno due pietre di discreta grossezza, distanti l'una dall'altra due palmi o poco più. Sopra quella verso la montagna stava l'Abate dell'anno precedente e sull'altra il nuovo; il primo presentava all'altro lo stendardo di San Giorgio con alcune invocazioni e proteste. Quindi il nuovo Abate s'incamminava verso la città, talora a piedi, talora in portantina. Stava alla sua sinistra il sindaco del rispettivo villaggio, il quale era un notaro. Seguiva poi, tirato da uno o più paia di buoi, un gran tronco d'albero ornato di rami verdeggianti che si chiamava «confeugo». Venivano appresso alcuni contadini scelti tra i magnati dei dintorni e fra questi stavano i portatori di bandiere, le quali misuravano tre palmi in quadro, con l'asta lunga quattro palmi e mezzo.
Cammin facendo eseguivano con detta bandiera diversi giochi facendola non solo sventolare, ma se la giravano intorno al collo e al corpo e persino tra una gamba e l'altra; quindi la gettavano in aria e nel cadere l'afferravano per l'estremità dell'asta che era impiombata.
L'Abate durante il percorso era scortato da 25 granatieri con baionetta in canna e attraverso la Porta Romana e la Porta dell'Arco gli venivano resi gli onori militari. Il corteo arrivato a Palazzo era salutato dalla guardia in armi.
L'Abate, lasciato il «confeugo» nel cortile, si presentava al Doge e con deferenza profferiva le rituali parole
Bén trovòu Mesê ro Dûxe
(Ben trovato signor Doge)
il Doge rispondeva
Bén vegnûo Mesê l'Abòu
(Ben venuto signor Abate)
L'Abate offrendo al Doge un mazzo di fiori finti gli augurava le Buone Feste e gli riferiva sulle condizioni della sua valle. Il Doge ringraziando gli donava un biglietto Cartulario della Banca di San Giorgio da lire 100 dopo di che il corteo si scioglieva. Calata la notte il Doge e i Collegi scendevano a dar fuoco al tronco d'alloro («confeugo») e poi vi gettavano sopra un vaso di vino, zucchero e confetti e in tal modo la cerimonia aveva termine. All'accensione del ceppo assisteva anche l'arcivescovo, che partecipava poi al banchetto offerto dal Doge a Palazzo Ducale.
Il popolo riteneva che il grosso tronco bruciato fosse sacro, per questo ognuno si accalcava a prendere per sé un tizzone, che veniva poi gelosamente custodito ritenendolo dotato di poteri magici. Il desiderio di possedere questi carboni era così vivo che il Comune dovette provvedere a distribuirli in equa misura tra i cittadini.
Tratto da C. De Marini, O Confeugo - Ben trovòu messer ro Duxe, in «A Compagna» n. 3, giugno 1928, pp. 25-28.
Gli Abati del Popolo ebbero origine nel 1270 quando il potere fu affidato ai due Capitani del Popolo Oberto Doria e Oberto Spinola (la diarchia degli Oberto) e era loro concesso di sedere in mezzo ai due Capitani del Popolo. Gli Abati, il cui numero varia nel tempo, hanno sostenuto i diritti del popolo insidiati dai nobili. Si può dire che essi tendessero a mantenere l'equilibrio tra il potere signorile e quello cittadino, che frenassero il popolo quando, furente, tendeva al tumulto, che lo consigliassero quando, incauto, si lasciava allettare, che lo conducessero quando veniva ingiustamente oppresso o assalito a tradimento. Ma i loro compiti non terminavano qui: sanzionavano i trattati, condividevano con i nobili il potere territoriale e, alla testa di nobili e popolani, accoglievano e onoravano i sovrani che giungevano a Genova.